L’argomento di oggi è frutto di una storia tutta italiana, i Supertuscan, le cui straordinarie conclusioni hanno avuto risonanza internazionale e portato la Toscana a essere conosciuta in tutto il mondo per le sue eccellenze vitivinicole.
Per chiarire l’argomento, dobbiamo tornare indietro nel XVIII secolo quando la produzione del vino nella zona del Chianti, prevedeva l’utilizzo esclusivo del Sangiovese.
Pratica che si modificò soltanto nel secolo successivo con l’introduzione di altre varietà di vitigni nell’uvaggio, con lo scopo di migliorarne le caratteristiche organolettiche, e quindi la qualità.
Il Barone Ricasoli
Il protagonista di questo periodo transitorio, fu il barone Bettino Ricasoli: personaggio all’epoca molto in vista, che intorno alla metà del XIX secolo, dopo molti tentativi, si convinse di aver individuato la formula ideale del “Chianti”.
Il barone era consapevole delle potenzialità del Sangiovese ma con la sua esperienza nel settore si convinse che il vino prodotto avrebbe potuto essere migliorato aumentandone l’acidità.
Con l’aggiunta di Malvasia o anche di Trebbiano Toscano, oltre a migliorarne il colore e il residuo zuccherino, aggiungendo il Canaiolo.
La “varie” formule del Chianti
La nuova composizione prevedeva un 70% di Sangiovese, un 15% di Canaiolo e un ulteriore 15% di Malvasia Toscana.
La formula ebbe un gran successo, tanto che non fu possibile soddisfare completamente l’accresciuta richiesta e questo portò al verificarsi di emulazioni.
Anche nelle regioni vicine, tanto da avere la necessità di fondare un ente superiore posto al controllo e alla protezione di queste produzioni.
Nel febbraio del 1927 infatti, fu creato un Consorzio per la difesa del Chianti.
Inizialmente, nessuno mise in discussione questa nova combinazione di uve, ma con il passare dei decenni alcuni viticultori iniziarono a pensare che al posto della Malvasia e del Canaiolo, sarebbe stato preferibile l’inserimento di altri uvaggi, a bacca rossa perché si sarebbero potuti ottenere risultati anche migliori.
Si presero in considerazione, allora, alcune uve francesi quali Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc, che tanto successo avevano avuto in Francia.
Conservatori e progressisti
Naturalmente si formarono subito opposte fazioni di pensatori (1985): quelle dei conservatori, legati al pensiero del barone Ricasoli, a cui si aggiungeva anche l’utilizzo del Sangiovese in purezza, e quelle dei progressisti che vedevano nei vitigni francesi un’opportunità per creare vini migliori.
Oltre a introdurre delle innovative piccole botti per la maturazione del vino: “le barriques”.
Finalmente, nel 1994 i viticultori toscani riuscirono a raggiungere un accordo con il quale la vecchia regola veniva aggiornata, permettendo la produzione di Chianti Classico anche con il 100% di Sangiovese e rimuovendo l’obbligo di utilizzare uve a bacca bianca.
Due anni dopo, venne attuata una ulteriore modifica che permise l’inserimento di vitigni autoctoni come il Canaiolo e il Colorino e internazionali come il Cabernet Sauvignon e il Merlot.
Robert Parker
Le prime combinazioni furono sperimentate negli anni ’70 e dopo circa un decennio, Robert Parker, uno dei più influenti critici di vino al mondo, nonché creatore dell’autorevole edizione “Wine advocate”, apprezzò talmente tanto questi vini da ideare per loro il termine SuperTusca.
Grazie alle sue recensioni e ai suoi altissimi punteggi, rese celebri questi vini in America e nel mondo, decretando il loro incredibile successo.
I SuperTuscan sono vini che vengono prodotti in Toscana utilizzando vitigni quali Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syrah e, in alcuni casi anche Sangiovese in purezza che, non attenendosi alle “denominazioni” o alle “certificazioni”, hanno creato un proprio stile indipendente, privo di obblighi e vincoli.
Oggi, sono considerati tra i vini più conosciuti e graditi al mondo.
Sassicaia: “il” Supertuscan
Giusto per fare un esempio di Supertuscan su tutti, non possiamo non pensare al Sassicaia, vino del Marchese Mario Incisa della Rocchetta della Tenuta San Guido a Bolgheri.
Prodotto con uve Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, nel 1985 fu costretto a inserire in etichetta la dignitosissima quanto poco prestigiosa dicitura “vino da tavola” per non aver rispettato la tradizione del tempo, ma riuscì tuttavia a ottenere il riconoscimento di “miglior vino del mondo”.