Le bollicine del vino, un fenomeno straordinario in grado di dare nuova vita alla bevanda più famosa al mondo e renderla ancora più affascinante di quanto già non fosse, grazie a un gioco di luci e riflessi unico nel suo genere.
Per noi italiani le bollicine identificano lo spumante, ovvero un vino o un blend di vini, anche di annate diverse (cuvée) che grazie a una seconda fermentazione, riesce a generare una spuma, ovvero delle bollicine di anidride carbonica che ne provocano un magico effetto visivo, oltre a un particolarissimo gusto fresco, brioso ed effervescente assolutamente caratteristico di questa tipologia di vino.
Storia della spumantizzazione
È molto difficile attribuire la paternità di una spumantizzazione consapevole, si possono fare delle ipotesi, anche molto vicine alla probabile realtà, ma nulla di più visto che riferimenti della esistenza di vino con spuma risalgono addirittura all’Impero Romano, all’antica Grecia, all’Egitto di Cleopatra, fino a giungere ad alcuni passi della Bibbia con evidenti riferimenti a una coppa di vino spumeggiante.
Ovviamente non si deve pensare che lo spumante di cui abbiamo parlato finora, possa minimamente avvicinarsi al concetto di spumante che abbiamo nella nostra mente, si trattava certamente di una forma primordiale di vino con una fermentazione in atto non conclusa, con probabile aggiunta di acqua, miele e resine vegetali che oggi penso potrebbero mettere in difficoltà anche il più tollerante dei degustatori.
In ogni modo, l’ipotesi più attendibile di una antica forma di spumantizzazione, resta quella di una rifermentazione spontanea dei lieviti e degli zuccheri residui di un vino, dovuta al probabile rinnalzamento della temperatura del luogo dove era conservato.
Dom Pierre Pérignon
Al momento la leggenda universalmente accolta, narra di un monaco cellario (addetto alla dispensa), tale Dom Pierre Pérignon, abate dell’abbazia benedettina di Saint-Pierre d’Hautvillers nel département de la Marne e grande conoscitore della viticoltura del tempo, che all’incirca nel 1670 avrebbe scoperto, forse proprio nel tentativo di evitarla, la spumantizzazione di un vino fermo tramite l’involontaria rifermentazione in bottiglia dello stesso.
Una narrazione universalmente riconosciuta e da molti prudentemente considerata leggenda, per il fatto che non siano mai state trovate scritture o annotazioni del monaco in merito a questo procedimento, mentre i suoi connazionali diedero per scontata l’attribuzione della geniale intuizione, rivendicandone naturalmente la paternità francese.
Francisci Scacchi
Tuttavia, un medico di Fabriano, un paese antichissimo risalente ai primi anni del 1000 d.C. della provincia di Ancona, nelle Marche, nel centro Italia, il dottor Francisci (Francesco) Scacchi, credo sarebbe oggi di tutt’altro avviso.
Infatti nel 1622, quasi mezzo secolo prima degli esperimenti del monaco Pérignon, il dottor Scacchi scrisse un libro “De salubri dissertatio” (dissertazione sul bere sano) nel quale, in uno dei capitoli, descriveva in modo minuzioso e particolareggiato il metodo da seguire per rendere “piccante” – termine usato all’epoca per definire l’effervescenza di uno spumante – un vino fermo.
Quindi, se il monaco Dom Pierre Pérignon, ha sicuramente il merito di aver realizzato per primo una produzione con carattere di continuità, di vini rifermentati in bottiglia, se vogliamo anche con l’aiuto della casualità e di un pizzico di fortuna, è altrettanto vero che il medico marchigiano è stato il primo ad aver indicato e messo per iscritto, un vero e proprio metodo di spumantizzazione con rifermentazione in bottiglia.
Naturalmente, questo procedimento non è certamente confrontabile con i metodi e la tecnologia che conosciamo e utilizziamo oggi, a partire dai mosti utilizzati, le melasse e le resine vegetali, tanto più che gli spumanti di allora erano esclusivamente dolci.
La spumantizzazione oggi
Infatti oggi è prevista una differente pressione interna, vengono utilizzate bottiglie molto ben studiate e resistenti alla pressione che allora erano considerate una novità, e comunque molto più fragili e soggette a continue rotture. Questo problema fu parzialmente risolto a partire dal 1850, grazie all’intervento di Holden e Colen che ne brevettarono di più robuste.
La stessa tappatura in sughero, benché al tempo solo una novità, non usufruiva certo della tecnologia di cui gode oggi, anche per la stessa gabbietta che allora era sostituita da uno spago fissato al collo della bottiglia.
Fondamentali furono inoltre le scoperte del chimico Lavoisier che nel 1776 capì che le bollicine non erano altro che acido carbonico, ma soprattutto del chimico microbiologo Louis Pasteur che nel 1859 capì che la trasformazione degli zuccheri del vino, in alcool e anidride carbonica era dovuta ai lieviti saccaromyces.
In Italia la nascita dello spumante è legata al nome di un notissimo imprenditore, Carlo Gancia, che nel 1850 decise di iniziare a produrlo in Piemonte seguendo l’allora méthode champenoise, oggi conosciuto come metodo classico.
In realtà, i metodi di spumantizzazione sono tanti ma quelli più noti e utilizzati, sono fondamentalmente tre, e precisamente:
Metodo classico
Il metodo classico, conosciuto in Francia come méthode champenoise che è la tecnica di vinificazione usata per la produzione degli Champagne e dei migliori spumanti secchi. Si tratta di una rifermentazione in bottiglia nella quale viene utilizzato normalmente un vino base bianco fermo (chardonnay, pinot bianco, pinot grigio, pinot nero), che spesso ha già concluso un periodo di maturazione e che a volte è composto da un insieme di vini (cuvée) che precedentemente siano stati sottoposti a un’attenta selezione.
Metodo Martinotti-Charmat
Il metodo Martinotti-Charmat, che a differenza del metodo classico, non prevede la rifermentazione in bottiglia. Il vino base (moscati, malvasie, brachetti, glera e molto altro) viene inserito in una grande contenitore di acciaio detta autoclave insieme a lieviti, zuccheri e sostanze azotate dove inizia il processo di fermentazione. Questa tecnica richiede circa tre o quattro mesi per arrivare a un buon prodotto finale, ma sono previsti anche periodi molto più lunghi, fino anche a nove o dieci mesi, per gli spumanti migliori.
Questo procedimento è utilizzato in particolare, per gli spumanti aromatici (moscati, malvasie, brachetti, gewürztraminer) in quanto ne esalta le caratteristiche del frutto, per il prosecco, oltre che per un’infinità di spumanti secchi visto che, se condotto con maestria e competenza, può generare prodotti eccellenti (brut, extra-brut o dry).
Il metodo charmat dà vita a vini per lo più leggeri, freschi e dalle intense note fruttate, con un perlage abbastanza modesto ed evanescente: un tipico esempio è il prosecco.
Metodo Ancestrale
Infine, il metodo ancestrale o tradizionale che è sicuramente il metodo di fermentazione più antico che viene utilizzato oggi, sicuramente il precursore di tutte le bollicine, che si basa su metodi assolutamente naturali rispetto a qualsiasi altro.
Anticamente lo spumante veniva prodotto e lasciato rifermentare naturalmente in bottiglia, grazie ai suoi lieviti indigeni presenti nelle bucce degli acini e grazie al residuo zuccherino rimasto dopo la vinificazione.
Pensate che questo era il metodo usato per la vinificazione nella zona dello Champagne e di Limoux che, grazie all’intuizione – forse anche un po’ fortunosa – di alcuni monaci Benedettini dell’abbazia di Saint-Hilaire nel dipartimento di Aude, nel 1531 resero lo spumante La Blanquette de Limoux il più antico vino spumante al mondo.
Le uve vengono pressate in maniera soffice, in modo da preservare i lieviti presenti sulle bucce degli acini e inserite in tini di acciaio inox a temperature controllate, a seguire, la temperatura viene abbassata, per rallentare la fermentazione fino a interromperla.
Durante la sospensione della fermentazione, il vino viene imbottigliato e gli zuccheri ancora presenti saranno sufficienti per farla riprendere senza l’aggiunta di ulteriori zuccheri e lieviti, e non appena la temperatura sarà risalita naturalmente o artificialmente, la fermentazione riprenderà generando nuovamente alcol e anidride carbonica.
Questo metodo di spumantizzazione non prevede la sboccatura, ovvero l’eliminazione dei residui di fermentazione che anticamente veniva eseguita “à la volée”, quindi nelle bottiglie sono sempre presenti dei depositi che lo rendono un po’ velato, a volte torbido, ma con una discreta e piacevole spuma ricca di aromi fruttati ed evidenti sentori di crosta di pane dovuti alla maggiore presenza di lieviti.
Il servizio dell’ancestrale
Il servizio di questo spumante, potrà essere effettuato in due modi:
I) versando il vino lentamente per cercare di non intorbidirlo più di quanto non sia già;
II) capovolgendo la bottiglia per mandare in circolo più sospensione possibile (lieviti), proprio per amalgamare il vino con “il fondo” e per esaltare al massimo le caratteristiche del vitigno.
Vedi tutti i vini spumante.